Un Viaggio tra impegno, investimento, sforzo e meraviglia: la conoscenza”

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

Il canto XXVI dell’Inferno di Dante, è un vero inno alla conoscenza, attraverso le parole di Ulisse si percepisce come essa non abbia né età né limiti.

Il tema che vorrei affrontare in questo articolo è appunto quello della conoscenza, del sapere, della voglia di andare oltre la superficie, per arrivare ad una visione globale ed articolata in grado di rappresentare e dare significato alla complessità della vita umana.

Cosa significa conoscenza?

Nel dizionario Treccani al lemma conoscenza si legge:

/kono’ʃɛntsa/ s. f. [dal lat. tardo cognoscentia, der. di cognoscĕre “conoscere”]. – 1. a. [facoltà umana di conoscere, di apprendere] ≈ apprendimento, cognizione, (non com.) conoscimento, processo cognitivo. b. [quanto si conosce: la c. umana] ≈ sapere, sapienza, scienza. ‖ dottrina, erudizione, scibile. 2. a. [l’atto o il fatto di sapere o conoscere una cosa: avere una buona c. della fisica] ≈ cognizione, competenza, consapevolezza, padronanza.

Da queste definizioni si può intuire come questo termine sia inevitabilmente connesso con tutta la nostra esistenza e la attraversi trasversalmente.

Mentre scrivo, mi sovviene alla memoria il primo assioma della comunicazione pragmatica, degli studiosi della Scuola di Palo Alto, Bateson e Watzlawick: “È impossibile non comunicare”. Allo stesso modo per me è impossibile non conoscere, ogni nostro gesto quotidiano, ogni esperienza che facciamo è conoscenza; siamo in costante divenire; conoscere ci spinge ad un’ analisi e riflessione precipue che promuovono il cambiamento di alcuni aspetti considerati immodificabili fino a un dato momento.

E le scienze?

Se la conoscenza trova il suo habitat naturale nelle scienze, che indagano contenuti e processi che caratterizzano l’esistenza umana, cosa dire relativamente all’animo umano? Conoscere sé stessi è l’avventura più entusiasmante che un individuo possa fare ed anche la più faticosa, perché non sempre scoprirsi si rileva così “naturale”. Il viaggio attraverso la nostra interiorità, per giungere all’ essenza ed alla consapevolezza di chi siamo, comporta alle volte un lungo e continuo lavorio mentale-emozionale-corporeo.

Pensatori, studiosi, ricercatori di ogni disciplina, artisti di tutte le epoche, hanno dedicato la loro esistenza alla comprensione dell’anima per tentare di comprenderla e contemporaneamente di cogliere il significato della vita. Anche l’uomo della strada a suo modo, si interroga sul senso della vita, il suo pensiero si delinea probabilmente ad un livello esteriore, legato alla concretezza della quotidianità ma non per questo è meno significativo.

La domanda esistenziale: chi siamo?

A partire dall’adolescenza gli interrogativi del profondo su chi siamo, sul senso della nostra vita divengono più frequenti e ci spingono a ricercare delle risposte in vari modi; non sappiamo cosa di preciso stiamo cercando, sappiamo solo che abbiamo necessità di conoscenze che ci aiutino ad affrontare l’incertezza del vivere per trovare stabilità ed equilibrio che ci consentano di fronteggiare la paura e vivere anziché sopravvivere.

Conoscere sé stessi può sembrare scontato, infatti sovente pensiamo: “ma non possiamo vivere a pieno se non sappiamo chi siamo!!!”. Siamo così abituati ad identificarci con l’immagine che gli altri ci rispecchiano nelle relazioni interpersonali, che non ci sfiora il pensiero che non siamo solo quella parte. Se è assodato che la nostra identità personale ha una dimensione costitutiva sociale, è anche vero, che spesso la nostra identità “esterna”, non sempre corrisponde al nostro senso di identità e nemmeno noi, forse, siamo pienamente consapevoli di chi siamo realmente. Galimberti riconosce all’ essere umano il bisogno di una “radicale solitudine”, intendendo con ciò, la necessità di uno spazio intimo che tenga fuori l’Altro, in cui possiamo entrare in contatto con la nostra individualità, ovvero con la nostra parte più profonda e più genuina.

Come arrivare al traguardo ?

La conoscenza di sé passa attraverso l’attenzione, la curiosità, la voglia di capire cosa ci succede dentro, in ogni momento della nostra vita, quando siamo felici, contenti oppure quando siamo arrabbiati, tristi, frustrati. Non c’è un unico percorso per raggiungere la meta della consapevolezza, le modalità sono molteplici, quanti sono gli esseri umani che si cimentano in questa avventura, perché ognuno ha delle caratteristiche personologiche uniche. Non è un percorso tracciato nei minimi dettagli con uno start ed una end line predefiniti, ma è un viaggio itinerante, che si snoda e si sviluppa con tempi e dinamiche tutte sue. Ogni giorno, anzi, ogni attimo è foriero di conoscenza: in quello che siamo, desideriamo, amiamo, odiamo, nelle azioni quotidiane, come in quelle straordinarie, si realizza la conoscenza del vero sé. Essenziale è che ci equipaggiamo con lenti da vista “speciali”, che consentano di vedere oltre la superficie, oltre quell’opacità che a volte accompagna le nostre esperienze. Queste lenti non vengono acquistate in un negozio apposito, ma ognuno può procurarsele da sé in tanti modi diversi: attraverso l’osservazione, la natura, la lettura, la pittura, la musica, la scrittura, le relazioni interpersonali, lo sport, la psicoterapia, la meditazione, il lavoro….Insomma la vita ci mette sempre sulla nostra strada tanti strumenti “giusti! Siamo noi che possiamo selezionarli in base alle nostre preferenze e adoperarci per usarli bene e percorrere il sentiero che ci porterà a scoprire, con immensa gioia, il nostro Io più profondo. Questi strumenti possono cambiare nel corso della vita, a seconda dell’età e di come ci sentiamo in un certo momento, possono essere utilizzati in maniera complementare o alternata. Non c’è un libretto di istruzioni generali da seguire, c’è da ascoltare la vocina dentro di noi che come un faro illumina il cammino e abbandonarci fiduciosamente. Il percorso potrà in certi momenti essere irto, pieno di ostacoli, burrascoso, ci sentiremo smarriti e forse disperati, ma il viaggio prevede quasi inesorabilmente anche queste tappe, preziose perché sono passaggi che ci permettono di scorgere anche i lati di noi stessi bui, che magari meno ci piacciono, e che vorremmo nascondere. E’ così, noi abbiamo paura, tentenniamo, mentre la Vita no, è divina, sa cosa è meglio per noi, sa chi siamo. E’ in grado di superare ogni nostra aspettativa, ci disorienta, ci stupisce, ma alla fine se abbiamo il coraggio di affidarci attivamente a lei non ci tradisce e ci restituisce mille volte quanto noi siamo disposti a donarle, ci porta a scoprire la nostra essenza, il tesoro più prezioso, la nostra individualità che ci consentirà di spiegare le ali e vivere a pieno tutto quello che ci riserva.

Perciò…..

Qualunque sia la strada scelta, la cosa importante è stare in ascolto, darsi attenzione, trovare un proprio spazio temporale in cui poter coltivare la conoscenza di sé, sviluppando contestualmente un sano spirito critico, che non pesi super-egoicamente come una spada di Damocle sulle nostre vite, ma che ci aiuti a mettere in discussione, ad approfondire ed allargare i nostri orizzonti mentali per poter evolvere.

Quando Nietzsche parla di “spirito libero”, intende proprio colui che osa pensare in modo diverso dai dogmi della propria cultura, del proprio ambiente ed origini, il quale mette in discussione ciò che osserva-vive per realizzare il sommo fine della conoscenza.

Percorrere la via della saggezza con fiducia, ognuno per com’è; essere noi stessi fonte di esperienza e liberarci da sentimenti di disvalore, può aiutarci da un lato a perdonarci i nostri umani errori e dall’altro a scoprire che in noi c’ è una scala di cento gradini orientata alla conoscenza, bisogna solo avere il coraggio di salire e….raggiungere quello stato di conoscenza pura che rende l’uomo libero da ogni sorta di condizionamento, per questo autentico. Un anima fine non è quella capace dei voli più alti, ma quella che si alza e si abbassa poco, però abita sempre in un’aria e ad un’altezza libere e luminose.

A cura della Dott.ssa Marcella Fanelli

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Perfezionismo e limite: due facce della stessa medaglia?